2-La morte

Sono morto Domenica 14 febbraio 1993.

Sabato 13 Febbraio, dopo una delle solite serate al ristorante (naturalmente pagata con i soldi degli italiani) ho cominciato a girovagare per le stanze dell’appartamento che occupavo in affitto ad Acqui Terme. Non riuscivo a dormire. Da tempo stavo riflettendo su quello che stava accadendo in Italia. Mi domandavo se ero ancora in una repubblica democratica o piuttosto in uno stato in disfacimento che non assicurava più alcuna garanzia sul rispetto delle più elementari regole di convivenza civile e di giustizia.

Migliaia di persone erano arrestate all’alba, da carabinieri o poliziotti pronti a tutto pur di realizzare lo scoop; in alcuni casi erano preavvisati gli organi di stampa per far vedere quasi in diretta la cattura dei criminali. Sulla base di semplici dichiarazioni verbali gli inquisiti erano tradotti in catene e mostrati al popolo come gli artefici di ogni sorta di attività delittuose ed, in particolare, della rapina dei soldi che i contribuenti avevano con enormi sacrifici versato allo Stato.

Giornalisti incoscienti e vigliacchi si limitavano a pubblicare stralci di verbali, non verificati, nella maggior parte dei casi falsi e scritti dagli inquirenti manomettendo abilmente le dichiarazioni dei prevenuti con l’accordo di avvocati corresponsabili del sordido commercio di nomi. Le notizie venivano date in pasto agli scribacchini da funzionari corrotti durante i bivacchi di fronte alle procure delle maggiori città.

Cittadini invidiosi, ignoranti e fascisti rilasciavano dichiarazioni gratuite concernenti persone cadute in disgrazia e nell’impossibilità di ribattere, persone di cui nel passato erano stati i lacchè senza la minima vergogna.

Alcuni, di fronte ai processi sommari, si suicidavano, altri fuggivano, altri ancora facevano finta di collaborare: “mani pulite” stava diventando “mani di sangue”. La libertà, a seconda dei casi, si riacquistava in cambio di due o tre nomi. Le prove, come nel Processo di Kafka, si sarebbero trovate dopo.

Contributi finanziari ridicoli ricevuti per la sopravvivenza di un partito e di un’idea, da imprenditori miliardari disonesti, venivano considerati come riscatti ottenuti da sequestri di persona o il frutto di furti effettuati sugli stipendi dei lavoratori o sulle pensioni di vecchi malati e nulla tenenti, o proventi derivanti dal commercio di cocaina. Le parole più diffuse erano: intascare, tangente, percentuale, corruzione, concussione, una strada in salita, campagne elettorali folli, cene sontuose, corrieri della mazzetta, trombati alle elezioni, porta borse, riciclaggio, truffa, paura, scappare, latitante, pazzo, clinica, tremare.

Per tutto questo alle cinque di mattina di Domenica ho raccolto alcune cose in una valigia e me ne sono andato in Francia (vorrei precisare Francia e non Tunisia o Brasile). Prima di uscire mi sono detto: “Da questo momento non sono più italiano; ritornerò, se non costretto con la forza, solo quando sarò Francese”. E così è stato.

Quindi l’ora della mia morte come italiano può essere fissata alle 5 del 14 febbraio 1993.

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